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Chi sono

Storia di Serena

Sono l’ultima di quattro figli, nata nel 1943 in un paese di campagna del Nord Italia, dove la mia famiglia era sfollata per sfuggire ai bombardamenti che infurivano a Milano e alla mancanza di cibo causata dalla guerra. Poco dopo, siamo dovuti ritornare a Milano, dove mio padre Enrico era un ingegnere elettronico, e mia madre Matilde si occupava delle tante necessità familiari.

 

Ricordo che la mia famiglia era piuttosto infelice; persone che non andavano d’accordo, piene di profondi conflitti e risentimenti, obbligate a vivere insieme. Ognuno tentava di sfuggire a questo ambiente, e mia madre trovò più gratificante andare ad insegnare francese nella scuola media. Quando avevo circa dieci anni i miei genitori si separarono; mio padre e i miei fratelli andarono via e io rimasi con mia madre e mia sorella. Nonostante fosse più tranquilla, la nostra vita familiare non mi sembrava piacevole, e così io passavo più tempo possibile fuori di casa, con amiche amici e compagni di scuola.

 

La disciplina scolastica che mi costringeva a stare seduta per ore, non si addiceva alla mia indole vivace e, a parte l’aspetto sociale della vita scolastica, in classe per lo più mi annoiavo. Tuttavia dovetti seguire la decisione di mio padre, secondo cui l’educazione umanistica era la migliore, e frequentai il liceo classico, invece che studiare lingue moderne, come avrebbe preferito mia madre.

Fin dall’infanzia e per tutta la scuola superiore le mie migliori amiche erano due gemelle, Giovanna e Giulietta. Negli anni della formazione l’alleanza del nostro trio mi dava il senso di una solidarietà femminile e di un appoggio incrollabile, intimità emotiva, piacere, forza e un bel po’ di libertà di movimento. Insieme discutevamo le nostre vite familiari, le relazioni, il fatto che essere donne si dimostrava uno svantaggio sociale, e come difenderci dalle attenzioni indesiderate per poter usufruire delle molte occasioni stimolanti che la vita cittadina aveva da offrirci: film, concerti, dibattiti e visite ai musei.

Molto presto mi resi conto della mancanza di rispetto che spesso faceva seguito all’inizio dell’apertura sessuale ai coetanei. E non mi piaceva sentirmi considerata una preda sessuale, esposta a toccamenti indesiderati sull’autobus, uomini che si esibivano per le strade o, quando camminavo, mi seguivano rivolgendomi apprezzamenti osceni. Riflettendo su tutto ciò, arrivai alla conclusione che l’alternativa era essere considerata una donna o una persona. Decisi che per me era meglio essere considerata una persona, e per molto tempo respinsi le avances sessuali, e coltivai le amicizie sia con i ragazzi che con le ragazze.

 

Intorno al 1964, seguendo la tradizione intellettuale della mia famiglia, mi iscrissi all’Università Statale di Milano, dove mi laureai in filosofia. In quel periodo mio padre, l’autorità che aveva determinato molto di ciò che mi era concesso fare, morì, lasciandomi un’indipendenza economica che mi concedeva una nuova libertà di scelta. Ben presto ne feci uso per iniziare a realizzare il mio desiderio di viaggiare, un aspetto della mia vita che è rimasto sempre importante per me.

 

Durante una vacanza in Francia incontrai Agathe, una ragazza della mia età che mi invitò ad andare a trovarla a Parigi, dove viveva con sua sorella. Ne nacque una profonda amicizia: ogni inverno io andavo a trovarla a casa sua e in estate lei mi raggiungeva nell’appartamento che la mia famiglia aveva sulla Riviera Ligure. Imparammo a parlare correntemente entrambe le noste lingue, e mescolando le due creammo un nostro dialetto segreto.

 

Vivendo con lei nel Quartiere Latino, ebbi la possibilità di fare esperienza di uno stile di vita molto diverso da quello più conservatore di Milano. Dopo Parigi, la “swinging London” dei tempi di Mary Quant mi offrì un’ulteriore occasione d’immergermi in un’altra cultura, ricca di immagini di una femminilità anticonformista e colorata.

 

Nel 1967 il movimento studentesco arrivò nella mia Università. Per la prima volta mi coinvolsi nella politica, partecipavo alle riunioni e all’occupazione dell’Università, e nel 1968 ero pienamente impegnata nel gruppo Marxista-Leninista del Movimento Studentesco.

Il primo incontro col Femminismo avviene nel 1970, durante un soggiorno a New York, quando entro in contatto col Women’s Liberation Movement, il movimento femminista americano; frequento vari gruppi e raccolgo un’abbondante documentazione che porto con me al ritorno in Italia.

 

Al ritorno dal viaggio in America mi accorgo di essere cambiata, diventata più consapevole dello sciovinismo maschile presente nel Movimento Sudentesco e nei gruppi Italiani, che non hanno ancora acquisito la coscienza e il linguaggio, per metterlo in discussione. Allora comincio a raccontare ad altre donne la mia esperienza nei gruppi del WLM di New York e, nel giugno del 1970, organizzo un incontro a casa mia. (segue nella introduzione L’Anabasi).

 

 

Un’altra figura di donna centrale nella mia vita è stata Anna, mia amata cognata e migliore amica fino alla sua morte nel 1977. E’ stato con lei che sono andata a New York nel 1970, dove poi fui introdotta al movimento femminista. Durante quel soggiorno, ho incontrato Anselma Dell’Olio e Diana Alstad, due femministe che sapevano l’italiano. Con loro ho avuto l’opportunità di parlare dello sviluppo del movimento delle donne nella mia lingua, cosa che mi permetteva di comunicare in maniera più fluida e profonda. La relazione con Diana si rivelò molto significativa, in quanto mi spinse a penetrare più a fondo nelle finalità e nella filosofia del Movimento. Stimolata dal suo suggerimento di scrivere la mia tesi di dottorato sul Movimento Delle Donne, andai a visitare gruppi e raccogliere documenti da portare a Milano. (continua ne Il Risveglio e oltre)

Paradossalmente il mio “periodo femminista” è stato l’unico in cui ho vissuto appieno la vita di coppia. Non mi ero voluta sposare, considerando il matrimonio un’istituzione obsoleta, ma vivevo con un uomo. Forse era una pura coincidenza, o forse la partecipazione al lavoro di presa di coscienza con il gruppo delle donne mi assicurava di non perdermi nel ruolo di moglie che non trovavo attraente, e la presenza di un compagno soddisfava un certo bisogno di equilibrio.

 

Ma con gli anni in me emergeva sempre più forte il desiderio di provare, almeno temporaneamente, a vivere separati. Volevo sperimentare il vivere da sola, un’esperienza che non avevo ancora fatto perchè` quando ero uscita dalla famiglia ero andata a vivere con delle amiche; inoltre pensavo potesse essere un’occasione di crescita anche nel rapporto con il mio compagno che, trasferitosi da me direttamente dalla famiglia materna, manifestava ancora una certa tendenza a comportarsi da figlio. Abitavamo in un appartamento che io avevo comprato e che fungeva anche da sede dei nuovi gruppi delle donne, e anche per questo desideravo una maggiore autonomia.

 

Nel 1976, avendo finito di scrivere la mia tesi, accettai l’invito di Diana Alstad e del suo partner Joel Kramer ad andare a trovarli a Bolinas, il villaggio dove vivono sulla costa della California.

 

Malgrado gli accordi presi, al mio ritorno il mio partner era ancora a casa mia. e non ne voleva sapere di muoversi, intanto aveva intrecciato altre relazioni con mie ex-compagne. Usurata dai conflitti, la relazione finì e il mio ex si trasferì presso un’altra compagna.

 

Dopo essere tornata un paio di volte a casa di Joel e Diana e averli ospitati in Italia, nel 1979 finii per trasferirmi a Bolinas.

Vivendo da sola, ero diventata quella che io definivo una “femmina territoriale”, un mutante, una nuova incarnazione della femmina della nostra specie in cui tradizionalmente le donne vivono nel territorio del maschio. Così profonda è questa usanza che la troviamo pure in tante altre specie in cui la conquista di un proprio territorio da parte del maschio è condizione necessaria per l’accesso all’accoppiamento.

 

Ora questo nuovo tipo di donna, almeno da queste parti, non è più una rarità. Avendo raggiunto l’indipendenza economica, molte donne, alcune anche sposate, scelgono di vivere in una casa propria, mentre il marito o l’amante, se ce l’hanno, abita altrove.

A Bolinas, il mio interesse s’indirizzò all’esplorazione del rapporto mente-corpo, lo yoga, le arti terapeutiche, la creatività attraverso la danza e l’improvvisazione teatrale su cui già avevo cominciato a lavorare negli ultimi anni in Italia. In seguito, più sicura del mio inglese, ritornai a scrivere, redigendo articoli per il giornale locale, cimentandomi nella performance di miei scritti di poesia e teatrali e scrivendo brevi testi di natura autobiografica. Ne ho poi raccolto alcuni. in una sorta di testimonianza dei i miei primi cinquant’anni: Seeds of Wholeness (Semi di completezza) che ho pubblicato in proprio nel 1995.

 

Negli anni, quando mi è possibile, ho progressivamente smesso di usare il mio cognome paterno, Castaldi, sostituendolo con Serena Luce, una variante del mio nome di battesimo Serena Lucia.

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